Ci passavo accanto quasi ogni giorno. Era una scritta murale che recitava: “gli uomini stuprano”.
La prima volta che l’ho vista mi ha infastidito, perché sapevo che chi l’aveva fatta mi avrebbe definito “un uomo” e io non ho mai desiderato stuprare nessuno. E lo stesso si può dire per i miei amici pene-dotati. Man mano che ogni giorno mi imbattevo in questo dogma morale, i motivi della mia rabbia cambiavano. Interpretavo questo dogma come una litania della versione femminista dell’ideologia del vittimismo, un’ideologia che sostiene la paura, la debolezza individuale (con una conseguente dipendenza da gruppi ideologici di sostegno e protezione paternalistica da parte delle autorità) e una cecità di tutte le realtà e le interpretazioni di esperienze che non si conformano alla propria considerazione di se stessi come vittime.
Non nego che esista qualche realtà dietro l’ideologia del vittimismo. Nessuna ideologia funzionerebbe se non avesse un fondamento qualunque nella realtà. Abbiamo tutti trascorso le nostre intere vite in una società fondata sulla repressione e sullo sfruttamento dei nostri desideri, delle nostre passioni e della nostra individualità, ma è certamente assurdo abbracciare la sconfitta definendosi nei termini del nostro vittimismo.
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