Sull’occupazione dell’ex Casina Rossa, di Patrizia Corsica

“[…] In molte realtà provinciali la totale pace sociale è spesso l’unica cosa che si mostra allo sguardo di chi le attraversa. Noi abbiamo visto ben altro: il coraggio di osare, la volontà di resistere, la determinazione nel continuare sul percorso intrapreso. Come in tutti i percorsi, gli incidenti e i vicoli ciechi sono sempre un’eventualità, ma ciò che conta è la meta o forse, ancor di più, i compagni di viaggio […]”

  Ai compagni fiorentini dell’Occupazione Viale Corsica il nostro ringraziamento e la promessa di rivedersi presto, tra le strade marce di Lucca, in uno spazio liberato.

Il 9 dicembre un gruppo di compagni occupa uno stabile a Lucca. L’occupazione viene presentata come una Taz (Zona Temporaneamente Autonoma), con lo scopo anche di far conoscere da subito il posto, ma l’intenzione è un’altra: tenere lo spazio e aprire una breccia di autogestione nella normalità di una città che ha visto alle recenti elezioni amministrative i fascisti di Casapound raggiungere un allarmante 8% con conseguenze nelle strade che non è difficile immaginare. L’indomani, alle 7:30 del mattino, avviene l’irruzione delle forze dell’ordine: alcuni compagni vengono fermati e minacciati con una pistola (!), altri tre salgono sul tetto. La resistenza sotto pioggia e neve dura fino alle 17.00 circa; intanto viene sequestrato un furgone e molto materiale. Una vicenda dal finale sbagliato ma che sarebbe un errore considerare una sconfitta… in molte realtà provinciali la totale pace sociale è spesso l’unica cosa che si mostra allo sguardo di chi le attraversa. Noi abbiamo visto ben altro: il coraggio di osare, la volontà di resistere, la determinazione nel continuare sul percorso intrapreso. Come in tutti i percorsi, gli incidenti e i vicoli ciechi sono sempre un’eventualità, ma ciò che conta è la meta o forse, ancor di più, i compagni di viaggio e le esperienze che si maturano. Ai compagni di Lucca va quindi tutta la nostra solidarietà e la nostra complicità.
Cogliamo l’occasione per fare alcune riflessioni di carattere più generale: i tempi in cui la Toscana, se mai ha brillato della tonalità di rosso che ci piace, poteva essere, generalizzando, considerata una regione di “sinistra”, sono ormai solo un ricordo. I territori a bassa industrializzazione, dove le campagne e il terziario la fanno da padroni, offrono ben poco in termini di socialità, aggregazione e auto-organizzazione a chi vive nelle nostre province; soprattutto a chi ha uno sguardo critico verso il mondo che lo circonda e le regole che lo amministrano. Forse più che altrove vediamo quindi un costante flusso di giovani che abbandonano le proprie cittadine e i propri paesi alla volta dei capoluoghi, che, anche proprio grazie a questo apporto, vedono molte realtà politiche sorgere e prendere vita. Al di fuori delle maggiori città, è la controrivoluzione che in questo momento sta prendendo sempre più campo. Senza nessuno ad opporvisi, sedi fasciste sono sorte quasi ovunque. Il razzismo ha raggiunto livelli che non è certo un’esagerazione definire “pericolosi” tanto nelle cittadine che nelle campagne; i compagni che rimangono in queste realtà spesso si sentono impotenti di fronte a forze che individuano come più grandi di loro. E qui veniamo a noi e al senso di questo scritto.
E’ il momento di tessere una rete di relazioni stabili tra realtà che si organizzano nelle province e nelle città, spostarsi solo in occasione di qualche corteo non è più sufficiente. Dobbiamo costruire una base di mutuo appoggio reale e concreta che porti in primis il proprio sostegno alle realtà più periferiche. Non è il momento (lo è mai stato?) di dividersi dietro sterili dispute ideologiche, dobbiamo condividere pratiche, mezzi e saperi; aumentare enormemente la nostra disponibilità a spostarci e mobilitarci: difendere uno spazio occupato tanto quanto dare visibilità e apporto numerico a presidi come a semplici volantinaggi. Oggi l’antifascismo passa, nella nostra regione e non solo, anche da questo. Non scordiamoci che ad un’analisi attenta del tanto osannato movimento del ’77 e dintorni, questo lasciò quasi del tutto indifferenti le campagne e le cittadine minori. Più il movimento cresceva numericamente e qualitativamente nelle maggiori metropoli, più il livello del conflitto si alzava, più aumentava la distanza e l’incomprensione con i centri minori. È un errore che non dobbiamo più commettere. Un discorso, questo, che crediamo possa e debba travalicare i confini regionali.
Se è vero che la miglior difesa è l’attacco è altrettanto vero che per poter attaccare abbiamo bisogno di difendere i nostri spazi di agibilità. A presto.
Firenze, 13/12
Qua il comunicato dei compagni lucchesi.