Denunce, avvisi orali e perquisizioni: e i questurini non s’annoiarono più!
Come non esiste più una famiglia senza un televisore, né un lampione senza telecamere, al giorno d’oggi pare non ci si possa più permettere neppure il lusso d’aggirarsi per un cimitero senza che qualche ostinato cadavere s’impunti ogni tanto di tornare in vita, probabilmente per sporgere querela. Ancora peggio quando ci si mette pure qualche testardo beccamorto che comincia a dargli corda. Per le stesse ragioni a Lucca, celebre terra di paradossi, s’è respirata negli ultimi giorni un’aria ancora più cimiteriale del solito: è cominciata la rivolta dei non-morti!
Dopo i fatti dell’ex Casina Rossa, qualche losco figuro, sanguinosamente turbato nel suo dolce giaciglio, dev’essersi spaventato a morte nel trovarsi faccia a faccia con così tanto difetto di vitalità; tanto spaventato da non poter far altro che confidare nel pronto intervento dei cani da guardia per ristabilire l’ordine, la quiete e l’eterno riposo. Prontamente, l’equipe dei seppellitori lancia il contrattacco: partono le denunce, e si parla di danneggiamenti fantasma, di disturbo della pubblica quiete, di invasioni, addirittura di apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo – reato tra l’altro imputabile per legge esclusivamente ai legali proprietari del locale, ma pazienza – fino all’immancabile denuncia per resistenza, che ormai a Lucca è diventata quasi un riconoscimento cristologico, appannaggio esclusivo dei pochi combattenti rimasti ancora trincerati al di qua della morte cerebrale.
Ma i piccoli missionari della Questura, guidati dalla mano santa del Reverendissimo Vito Montaruli, non si sono certo accontentati delle briciole, e in poco tempo, nei giorni successivi, arriva il primo foglio di via per uno dei nostri fratelli, che tra l’altro frequenta il liceo proprio in città. Contemporaneamente, il mai troppo compianto Questore si butta di colpo nella psicologia e fa recapitare a casa di otto di noi il cosiddetto “Avviso Orale” che, nonostante le pignolerie della lingua italiana, è un foglio scritto – ritenuto dai più malevoli vagamente somigliante a una strana specie di lombrosiano processo alle intenzioni – in cui s’invita cortesemente a “tenere una condotta conforme alla legge, evitando comportamenti devianti e socialmente pericolosi”.
Se putacaso una mattina durante la colazione, tra un pezzo di brioche e un sorso di succo di mirtillo, la nostra condotta non dovesse più risultare di Suo gradimento a Don Vito nostro, i suoi uffici si riservano il diritto di far scattare immediatamente due tipi di misure: foglio di via o “sorveglianza speciale di polizia”, altro divertente provvedimento – regalino di Natale direttamente dal S.Padre Minniti in persona – secondo il quale potrebbe esserci imposto l’obbligo “di non rincasare la sera più tardi di una certa ora e di non uscire la mattina più presto di un’altra data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorità locale”, “di non trattenersi abitualmente nelle osterie, nelle bettole o in luoghi ove si eserciti la prostituzione”, “di non frequentare abitualmente pregiudicati” e dulcis in fundo “di non partecipare a pubbliche riunioni di qualsiasi tipo”. Secondo la teoria di Freud sulla sessualità infantile, il complesso di castrazione, con il relativo portato di angoscia e frustrazione, nasce nell’immaginario del bambino, che nella fase edipica positiva del suo sviluppo emozionale si lega emotivamente al genitore di sesso opposto. In età adulta la castrazione non è più avvertita come minaccia ma gli effetti del complesso di castrazione continuano a sentirsi. Durante l’adolescenza il ragazzo avverte la competizione con gli altri maschi e con il proprio padre e l’affermazione della propria virilità fisica diventa una forma di rassicurazione. Nell’inconscio la fantasia di castrazione non viene eliminata e continua a vivere nei sogni, nelle fantasie e nei lapsus, raggiungendo a volte livelli pericolosi. Probabilmente adesso cominciamo a comprendere meglio.
Forse sempre per colpa di Freud, la nostra indomita Questura, stavolta riunita sotto l’egida del Primo Maresciallo della DIGOS – nonché vice Vito – Leonardo Leone, insiste intrepida e pochi giorni fa tre di noi si sono visti tirare giù dal letto alle sette di mattina da quattro omini poco raccomandabili, che “per avere in concorso tra loro istigato a commettere più reati mediante la pubblicazione sulla pagina Facebook ‘Il Palazzo Che Brucia’ di foto che ritraggono una mano coperta da un guanto monouso bianco che in orario notturno compie con le dita il gesto simbolico della pistola impugnata e puntata sulle insegne di edifici istituzionali e politici della città di Lucca”, hanno perquisito due delle nostre abitazioni – una per ben due volte -sequestrando un PC, qualche cellulare e un hard disk con vecchie foto di famiglia, per poi cominciare a masturbare il proprio ego distribuendo all’impazzata strani fogli di carta, pieni zeppi di codice penale.
Questa è la città in cui viviamo, un triste palcoscenico di miseria e megalomania che volentieri si lascerebbe a morire nello sprofondato campo del patetico, se non fosse così pericolosamente sostenuto e legittimato giorno per giorno da tanto squallore remissivo, da così tanta infame sottomissione all’Autorità, che arriva ormai a soffiare il suo alito fetido da quasi ogni angolo e da quasi ogni bocca di questa rispettabile cittadina.
L’ultima offesa alle nostre intelligenze è cercare con la forza di obbligarci a prenderli sul serio, costringerci ad abbassare la testa di fronte al loro fascismo a norma di legge. Purtroppo per loro, ci siamo guardati in faccia e ci siamo resi conto che non siamo ancora abbastanza flessibili da farci comandare dal primo Questore che passa quale tipo di condotta osservare, o quali comportamenti possano essere considerati devianti dalla sacrosanta pubblica moralità della Casta Madre Lucca, e quali no.
Che se ne ritornino pure nella guardiola, a difendere il sonno frustrato e senza sogni delle loro anime da Purgatorio. Ci dirottiamo orgogliosamente verso lidi più felici, verso esistenze più soddisfacenti e libere, che nessun foglio di carta c’impedirà di sognare e di strappare al putrido grigiore del cimitero.
Siamo socialmente devianti, e lo siamo tutti per necessità e per scelta; perché la strada da cui loro non vogliono che nessuno si permetta di deviare è lastricata di sofferenza, sfruttamento, repressione e autorità. È una strada in cui si entra vivi e si esce carne da macello per qualche fabbrica, incapaci ormai di ogni ragionamento, di ogni felicità. Siamo devianti perché vogliamo vivere le nostre idee, e vogliamo farlo nel nostro presente.
Siamo devianti e lo saremo sempre. Felicemente.
A breve altri aggiornamenti, stavolta sicuramente più divertenti.
Stai sul pezzo.
Lina Bambo e i ragazzi del Palazzo.
Cercaci nella città.
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